venerdì 28 dicembre 2007

Classe dirigente: il tempo è maturo

Articolo del numero 1 uscito nel marzo del 2007 sull'edizione cartacea

di Emilio Manfredi

Nell’ambito di un dibattito tra studenti universitari di Scienze Politiche sulla realtà del nostro Paese, penso che non si possa non mettere in primo piano una questione estremamente problematica che è un po’ una chiave di volta sia all’interno dell’analisi politica, sia nella continua dinamica di interazione fra gli attori di una società in transizione: la dimensione e la qualità della classe dirigente. Senza retorica e senza voler esagerare i toni, mi sembra opportuno sottolineare che la realtà di cui stiamo parlando, l’Italia, è propriamente una società in transizione. Cosa significa questo? Forse che l’Italia stia attraversando un periodo di grave crisi economica o che l’assetto politico-istituzionale è nell’imminenza di un radicale stravolgimento che muterà il volto del nostro Paese di qui a pochi anni? Senz’altro no. L’Italia è ancora una delle maggiori potenze industriali del pianeta e la capacità adattiva dei suoi abitanti alle più diverse circostanze storiche è un’arma da non sottovalutare, anche all’interno della grande competizione nell’economia globalizzata. Il suo assetto istituzionale è giovane, ma ha delle fondamenta solide che i padri costituenti furono capaci di definire attingendo al meglio che la storia italiana avesse fino a quel momento prodotto.
Il vero problema è più profondo e non risalta in modo così chiaro quanto le debolezze di una coalizione di governo o la precarietà di una maggioranza parlamentare. L’Italia sta mutando rapidamente nelle caratteristiche della sua economia, nel suo ruolo all’interno della rete di scambi internazionale, nei suoi rapporti di potere interni, nelle opportunità dei consumatori, nella qualità del dibattito culturale. Quello che manca è un’idea chiara sulla sua identità, su ciò che l’Italia è e vuole essere. Il problema della classe dirigente italiana appartiene proprio a questa dimensione spirituale della società. Fiumi di inchiostro sono stati versati per descrivere il rapporto inscindibile tra corpo sociale e classe dirigente, specialmente in riferimento alle fasi cruciali della nascita dei regimi liberali europei del diciannovesimo secolo e alle dinamiche del crollo di molti di questi regimi nei primi decenni del secolo successivo. Il concetto di fondo delle diverse analisi è che la forza e la stabilità di una Nazione, qualunque sia la sua fisionomia politica e sociale, dipendono necessariamente dalla maturità della sua classe dirigente. L’Italia sta attraversando un periodo molto delicato e i mutamenti cui accennavo sopra sembra che siano destinati a svilupparsi in modo spontaneo e disordinato, lasciandosi alle spalle un ceto politico ed economico incapace di tracciare un percorso ideale in cui incanalare quelle dinamiche.
Per cogliere questa debolezza di fondo forse è necessario allargare l’orizzonte dello sguardo alle vicende della nostra Repubblica e chiedersi: cosa di ciò che l’Italia ha costruito di buono nella sua storia, e in particolare nei primi anni del secondo dopoguerra, è vivo nelle istituzioni politiche, nella cultura, nei metodi e nei contenuti dell’insegnamento nelle scuole, nel mondo dell’Università e della ricerca, nelle scelte dei grandi attori economici e soprattutto nella vita quotidiana di milioni di lavoratori? Non è per niente facile rispondere a questa domanda. Tuttavia è indubbio che esiste un grande patrimonio ideale e morale che ha dato forma all’Italia repubblicana e che facilmente si può perdere come già è successo molte volte nella storia di diversi paesi anche europei. Si comprende quindi quanto sia necessario che in una Nazione ci sia qualcuno che porti sulle proprie spalle la responsabilità di tutto questo e contemporaneamente sia capace di interpretarlo e aggiornarlo nel corso del tempo. Questo qualcuno è la classe dirigente.
Il problema di cui siamo parlando non è certo nuovo e numerosi intellettuali e politici sono spesso arrivati a imputare proprio all’assenza di una vera classe dirigente la colpa di tanti errori e sfortune della Nazione dall’Unità in poi. Come all’interno di un meccanismo complesso fatto di valvole, viti, ruote e stantuffi, che in assenza del lubrificante prima o poi si blocca, così nella società italiana continuamente riemerge la mancanza di un elemento che dia vitalità alle varie parti e armonizzi i movimenti delle sue molteplici componenti. I fenomeni cui accennavo precedentemente in riferimento all’Italia di oggi sono il materiale di cui la classe dirigente dovrebbe servirsi per ricostruire gli elementi di civiltà di cui oggi l’Italia ha tanto bisogno: il mutare della fisionomia della sua economia e delle opportunità e del comportamento dei consumatori, il basso livello del dibattito culturale, un quadro estremamente indefinito di valori e ideali condivisi, che orientino le scelte più importanti delle persone.
Ciò che stiamo facendo qui non è né filosofia politica né ingegneria sociale utopistica, ma un’analisi delle cause di problemi con cui continuamente ogni italiano si scontra nella vita quotidiana: i torbidi rapporti di potere nelle amministrazioni locali del Sud d’Italia, la mancanza d’iniziativa della piccola e media impresa sempre al Sud, le difficoltà dei giovani laureati a trovare lavoro dopo gli studi, la preparazione data ai ragazzi dei licei insufficiente per affrontare la vita reale, l’altissima evasione fiscale nell’industria del Nord, il basso livello morale dei rapporti tra politica e alta finanza, e l’elenco potrebbe proseguire. La generazione di chi oggi ha cinquant’anni, nonostante un’intensa parentesi di grande impegno politico e intellettuale, ha fallito nel trasformare realmente l’Italia. Alla luce di queste esperienze e con molte più opportunità concrete per incidere profondamente sulla società, la generazione attuale di studenti universitari italiani può essere, se vuole, la futura classe dirigente che renderà l’Italia quello che merita di essere, se solo disponesse di un briciolo della tempra caratteriale e dell’entusiasmo ideale di quell’altra generazione.

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