venerdì 28 dicembre 2007

L'Italia tra crisi e crescita

Articolo del numero 1 uscito nel marzo del 2007 sull'edizione cartacea

di Giulio Agamennone

Indro Montanelli disse: “il miglior governante italiano è straniero”. Questa efficace battuta esprime tutto il suo disappunto, tutta la sua disillusione verso una classe dirigente politica che ha del tutto mancato l’obiettivo di migliorare il nostro Belpaese. Una posizione del genere appare quantomeno pessimista, senz’altro figlia di un’esperienza di vita che aveva portato Montanelli al profondo scoramento che lo accompagnò fino alla morte.
Tuttavia, mentre mi accingo a scrivere questo articolo, l’Italia si è appena trovata di fronte all’ennesima crisi di governo, da cui è uscita, nell’opinione di tutti, solo per rientrarvi in men che non si dica. La significativa immagine con cui l’Italia si è presentata dopo le elezioni dello scorso aprile, cioè di un paese spaccato a metà, ci accompagna ancora oggi. Il Senato non appare infatti in grado di esprimere una duratura maggioranza, e la pseudo-maggioranza di centrosinistra uscita dalle elezioni si troverà ben presto a dover fare i conti con nuovi forfait dagli scranni della sinistra “antagonista”.
Ma qual è la radice di questa condizione? L’impressione che mi sono fatto è che sia conseguenza di una campagna elettorale ambigua e “nuova” (per il ruolo che hanno avuto i media nell’influenzare l’opinione pubblica), della costituzione di due coalizioni estremamente riottose (per descrivere le quali può tornare alla ribalta l’aforisma “la politica crea strani compagni di letto”), e, last but not least, di una legge elettorale profondamente inadeguata, studiata ad hoc per impedire, al vincitore, la governabilità del paese.

Partendo dalla campagna elettorale essa è stata segnata, oltreché dal presenzialismo di uno dei due leader, dalla rigida contrapposizione delle forze in campo, allineate sulla demonizzazione dell’avversario, sull’invito all’elettore a votare loro per non votare gli altri, dunque senza la proposta di valide soluzioni per risolvere i problemi degli italiani. Altra caratteristica è stata la “mediatizzazione” della politica, con la proliferazione di commentatori, che dai vari quotidiani e periodici, divisi anch’essi su blocchi contrapposti, lanciavano bollenti critiche alla fazione da essi osteggiata. Ponendo l’accento sulla struttura delle due coalizioni, il centrosinistra appare stretto intorno all’avversione per Berlusconi, collante che può aver avuto una sua efficacia fintantoché si è rimasti all’opposizione, ma una volta ottenuta la maggioranza tale collante si è rivelato sensibilmente più blando. Prodi ha dovuto più volte scendere a patti con le forze marginali (Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani di Diliberto e l’Udeur di Mastella) che tengono in vita la coalizione, piuttosto che perseguire il proprio programma di governo. E’ inoltre innegabile il dissidio tra i cosiddetti “riformisti” e i “radicali”. Riguardo all’opposto schieramento, molti politologi sono concordi nel vedere in Berlusconi l’unico uomo in grado di “tenere insieme la baracca”, con Gianfranco Fini successore designato, e Pierferdinando Casini alla finestra, pronto a sfruttare eventuali situazioni d’incertezza (non considerando anacronistiche svolte centriste). Appare d’altro canto evidente la contraddizione interna all’attuale centrodestra, con i cattolici dell’Udc al fianco di partiti ormai privi di identità quali Forza Italia e Alleanza Nazionale, che non si richiamano né all’ideologia della Destra sociale, né tantomeno a quella della Destra liberale, il che è ampiamente dimostrato dalle mancate liberalizzazioni compiute dal Governo Berlusconi; così come dall’immagine fornita dai “colonnelli” di AN, quali Gianni Alemanno & co., che all’indomani del primo decreto— Bersani scesero in piazza per difendere gli interessi particolaristici dei tassisti.

La legge elettorale, che il suo stesso propositore, il leghista Calderoli, ha definito, senza troppi peli sulla lingua, una “porcata”, ha fatto sì che i due rami del Parlamento potessero esprimere maggioranze differenti, a danno della governabilità del nostro sistema a bicameralismo perfetto. Tale legge ha poi privato l’elettore della possibilità di scegliere il proprio rappresentante, lasciando ai partiti l’onere di selezionare i candidati. E questo ha contribuito senz’altro a diffondere nell’opinione pubblica la sfiducia verso un mondo politico che è visto senza ricambio e autoreferenziale, basato sulla cooptazione piuttosto che su di una selezione meritocratica, e che la classe dirigente politica sia orientata più verso il “durare”, cioè il rimanere in carica, piuttosto che verso il “decidere”.

Molti sottovalutano la gravità della situazione. Il centrosinistra ha dato il via obiettivamente a una stagione di riforme da tempo attesa, a scapito della perdita del consenso dei settori colpiti dalle liberalizzazioni, e a scapito delle dure contestazioni seguite a una legge Finanziaria senza dubbio esosa, ma inevitabile per ridurre il deficit, pagare gli interessi sul debito pubblico e rimettere in moto i cantieri delle Grandi Opere. E la caduta del Governo Prodi potrebbe porre fine per decenni ad ogni tentativo riformista. Riforme che definire necessarie è riduttivo. Urge una riforma del mercato del lavoro che garantisca alle imprese di adattare la propria produzione ai momenti di crisi, così da accelerare la ripresa, e che offra al contempo ai lavoratori la possibilità di poter fare piani sulla propria vita, impossibili se costretti nel ruolo di atipici (co.co.co. e co.co.pro.); occorre che venga riconsiderata la tassazione sulle rendite, così da renderla pari se non superiore a quella sul lavoro, incentivando così ad investire in attività con finalità sociali, che creino lavoro, contribuendo a diffondere il reddito nella società, piuttosto che in attività che abbiano come unico fine il profitto dello speculatore; è necessario portare avanti la lotta all’evasione e all’elusione; va condotta a termine una riforma che renda efficiente la pubblica amministrazione, consentendo così anche di ridurre la spesa pubblica; bisogna poi proseguire le liberalizzazioni, per eliminare tutti quegli organi, come gli ordini professionali, che impediscono la nascita di una libera concorrenza, la cui assenza va a svantaggio dei consumatori; è infine necessario mettere da parte risorse da investire nella ricerca, cosicché si riesca, da un lato, ad evitare che l’Italia debba continuamente importare innovazioni tecnologiche dagli altri paesi, dall’altro a porre fine alla fuga dei cervelli, che rappresenta una considerevole perdita per l’Italia.
Tali obiettivi sono realizzabili. O meglio, lo sarebbero con una classe politica responsabile, onesta e trasparente, che sappia riunirsi attorno a temi fondamentali e perseguire davvero il bene dei cittadini, senza essere influenzata da pressioni di poteri e contropoteri più o meno oscuri, senza perdersi in dannose contrapposizioni ideologiche, e senza accettare i ricatti di partitucoli bramosi di potere. Si tratta di uno scenario realistico? Non resta che sperare che un giorno tutto ciò possa realizzarsi, e che la politica diventi più limpida e davvero democratica. Altrimenti ci resta sempre l’ipotesi profilata da Oliviero Toscani, secondo cui “l’Italia dovrebbe essere abolita come Stato indipendente e diventare una colonia di un Paese civile”.

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