venerdì 28 dicembre 2007

Partito Democratico: perchè no

Articolo del numero 0 uscito nell'ottobre del 2006 sull'edizione cartacea

di Giulio Agamennone

La modernizzazione della sinistra, la cui esigenza è avvertita da più parti, ha condotto al dibattito sul Partito Democratico, nome con cui dovrebbe chiamarsi questo nuovo soggetto politico, volto a realizzare una chimera che dal 1996 (anno in cui nacque l’Ulivo) attanaglia i sogni della gente di sinistra. Alla luce anche degli eventi verificatisi lo scorso maggio, quando la squadra di governo venne formata seguendo fedelmente il manuale Cencelli, appare sempre più evidente come il sistema partitocratico stia rovinando la sinistra italiana. Il dibattito sul Partito Democratico nasce anche dalla presa di coscienza di questa realtà, con l’obiettivo di generare un’entità coesa, che possa dare il via ad un’inversione di tendenza, contrapponendosi al progressivo frammentarsi delle forze politiche e ponendo fine a una logica clientelare che va avanti da troppo tempo.
Tale organismo dovrebbe comprendere i Democratici di Sinistra e la Margherita, che già hanno dato un forte segnale costituendo un unico gruppo parlamentare sia alla Camera che al Senato.
Con queste premesse, il progetto appare ineccepibile. Sento però di dover esprimere delle perplessità in merito a questa iniziativa, innanzitutto sul percorso che si sta seguendo, quindi sulla futura collocazione internazionale del partito, cui si collega inevitabilmente la questione delle radici ideologiche.
Per quanto riguarda il primo punto, cioè il processo formale da cui scaturirà il partito, è senz’altro apprezzabile la scelta di promuovere seminari (come quello svoltosi nel mese di ottobre ad Orvieto) allo scopo di aprire il dialogo e il confronto con scettici, confusi, contrari. Meno apprezzabile è il fatto che in realtà ad Orvieto nessuno al di fuori dei membri dei due partiti abbia avuto diritto di parola, nonostante fossero presenti molte associazioni e anche qualche giovane. Fa riflettere inoltre che all’interno dei Ds vi sia una frangia minoritaria, il cosiddetto “Correntone” (la componente più a sinistra del partito), che non condivide affatto le scelte del segretario Piero Fassino in merito alla fusione con la Margherita. Questo gruppo dissidente, che comprende dirigenti del partito del calibro di Fabio Mussi e Gavino Angius, ha deciso di disertare l’incontro umbro. Una posizione biasimevole, perché poco costruttiva: il Correntone non è disposto in alcun modo a venire incontro alle proposte presentategli dal resto del partito. D’altro canto fa capire che non sarà semplice condurre in porto il progetto del partito unico.
Inoltre, di solito, i partiti nascono per rispondere ad una frattura sociale, o ad una necessità della società civile. E in questo caso nessuno di questi due requisiti pare soddisfatto. Eppure ve ne sarebbero di fratture sociali nel nostro Paese. Questa nuova forza politica sembra invece prendere le mosse esclusivamente da un patto, un accordo tra partiti, i maggiori della coalizione di centro-sinistra. Una semplice addizione dei due gruppi, cui si accompagna però un potenziale politico enorme. Un’operazione che deluderà, a mio avviso, quanti si aspettino un cambiamento.
Detto della “forma”, resta da discorrere della “sostanza”.
L’ideologia che viene presentata in questa proposta è quella “riformista”. Ma, come sostiene lo storico Pietro Scoppola, non esiste in Italia una cultura riformista egemone. Esiste invece una pluralità di riformismi, uno di stampo socialdemocratico, un altro di stampo cattolico. Mi pare quantomeno sciocco il voler sottovalutare questa compresenza di due identità per lo più divergenti, una propria dei Ds, l’altra della Margherita. Identità che caratterizzano non solo i dirigenti, ma anche gli attivisti e, cosa più importante, gli elettori. Per quanto riguarda la collocazione internazionale, è pertanto difficile ipotizzare un ingresso della Margherita nel Pse (il Partito Socialista Europeo, dove si collocano i Ds; oggi la Margherita si trova a far parte del gruppo dei Liberali Europei, a fianco dei Radicali).
I cattolici non possono accettare un’egemonia culturale, oltreché politica, dell’ideologia socialdemocratica. Naturalmente bisogna dire lo stesso dei postcomunisti diessini.
Tuttavia, la questione della collocazione internazionale può essere superata, ciò che è unito in Italia potrebbe presentarsi diviso in Europa, o potrebbe essere fondato un nuovo gruppo parlamentare europeo, una sorta di Pde, che incontrerebbe facilmente il consenso di Tony Blair e del suo New Labour, che trova difficoltà a schierarsi dalla parte dei socialisti.
Ma il problema della doppia identità permane. E se prima ho scritto che trovo sciocco ignorarlo, ora aggiungo che è anche pericoloso, in quanto un partito nato da orientamenti disomogenei rischia di costituire una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere non appena si parli di eutanasia, ricerca scientifica o coppie di fatto. E il neonato partito avrebbe vita breve. Se finora Ds e Margherita hanno saputo convivere, lo si deve ad un livello di integrazione diverso. Una cosa è infatti un’alleanza politica, altra è un partito unico. Una cosa è procedere da posizioni diverse per giungere ad un orientamento comune, e altra è portare avanti una precisa visione del mondo e della società.
Walter Veltroni afferma che, perché si costituisca il Partito Democratico, sia necessario che le forze che ad esso si richiamano comprendano di dover superare la loro separatezza. Senz’altro auspicabile, ma altamente improbabile.

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