venerdì 28 dicembre 2007

La più antica e nobile sorella del francese

Articolo del numero 0 uscito nell'ottobre del 2006 sull'edizione cartacea

di Edoardo Berionni Berna

“ Una volta che affiora in un modo o nell’altro la questione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi.”
A.Gramsci, Quaderno 29

Allegretto ma non troppo
Essere italiano comporta una sola sfortuna: parlare una lingua geograficamente diffusa soltanto nella penisola italiana ed utilizzata da soli italiani che non sanno – per giunta- minimamente apprezzarne la bellezza. Il suo intrinseco incanto colpisce però sempre gli stranieri che non desistono mai dall’elogiarne la musicalità e l’armonia.
Questa ingiusta combinazione di eventi trova sua plausibile risposta in questa spiegazione:
il viaggiatore anglofono in visita a Roma non conosce il contenuto semantico di una parola italiana, ma è profondamente in grado di apprezzarne il suono e la musica.
In altre parole, sa assaporare nel più profondo il significante di un segno linguistico ( la parola), perché intellettualmente incapace di comprenderne il significato.
Avviene invece il contrario per un italiano madre-lingua, il quale conosce perfettamente il significato di una parola italiana, ma non è più in grado di apprezzarne l’elemento fonico e musicale,il fonema cioè il significante. Apprezzare quest’ultimo significherebbe acquisire la consapevolezza di un Proprio- io che si manifesta nella musica delle proprie parole,
il che è impossibile per due ragioni: pochi sanno ascoltare se stessi, nessuno sa auto-comprendersi esteticamente.

Largo
Questa irreparabile sfortuna impedisce a chiunque di esprimere giudizi determinanti sul proprio linguaggio, in quanto non sarebbe poi in grado di darne fondata giustificazione razionale.
Promuovere la propria cultura linguistica all’estero senza saperne effettivamente il perché si traduce in un solo sentimento: l’orgoglio. Quello vero.
Scrisse Schopenhauer nel suo irriverente libello Die Kunst, Recht zu behalten:
“La terza lingua classica di cui si parla è… il francese. Dunque questo miserrimo gergo romanzo, questa pessima mutilazione di parole latine, questa lingua che dovrebbe guardare con profondo rispetto alla sua più antica e assai più nobile sorella , l’italiano, questa lingua che ha come esclusiva peculiarità il disgustoso suono nasale, en , on, un, come pure il singhiozzante accento così indicibilmente ripugnante sull’ultima sillaba, mentre tutte le altre lingue hanno la penultima lunga, che produce un effetto così delicato e pacato, questa lingua nella quale non esiste metro, ma solo rima, per lo più in è o on, costituisce la forma della poesia: questa lingua meschina viene qui posta come langue classique accanto al greco e al latino!”
Meno offensiva -questa volta rivolgendosi all’intelligenza britannica- è la spontanea considerazione sulla lingua inglese di Ortega ne l’Uomo e la Gente :
“L’abbandono alle leggi fonetiche porterebbe ad un linguaggio di monosillabi equivoci, molti dei quali tra loro identici.[…] Sospettiamo a volte che, se un inglese comprende un altro inglese, è perché -essendo di solito la loro conversazione fatta di puri luoghi comuni- ciascuno sa in anticipo quel che l’altro dirà”.

Andante
Sul destino di noi Italiani grava tuttavia un’ulteriore responsabilità derivante da una eredità linguistica riconosciuta ed enormemente apprezzata dagli stranieri che definiscono la lingua italiana bella perché in grado di evocare in loro un sentimento quasi kantiano di piacere disinteressato. Circa l’85% degli studenti stranieri infatti dichiara di studiare l’italiano per puro piacere personale.
Tutto ciò legittima quel senso di responsabilità che spinge gli Italiani ad alimentare tra gli stranieri l’amore e il culto per la civiltà d'Italia che si accresce nel dovere.
È una forma questa di responsabilità, forse meritevole di essere inserita post litteram all’interno della vorticosa prosa mazziniana dei Doveri. È il dovere morale ( e non etico) di estendere i confini “sublimi”della lingua e della cultura italiana in Europa e nel Mondo, farla conoscere per conoscerla. Sentire uno studente erasmus olandese parlare italiano non può che contribuire alla ricchezza del nostro Paese ed in fondo anche a quella europea che cresce così linguisticamente ed artisticamente. È un modo alternativo per incoraggiare un’idea d’Europa in cui credere, in cui credo
Che un olandese parli italiano è un fatto di per sé sorprendente ed assai significativo:
le distanze si stanno accorciando.

Andantino con moto
“Quando operiamo con la parola comune dimentichiamo che si tratta di frammenti di storie antiche ed eterne, e che, come barbari, edifichiamo le nostre case con frammenti di sculture e statue degli dei.” Questo solenne pensiero dello scrittore e disegnatore polacco Bruno Schulz invita chiunque a riflettere sul proprio dicere e ci responsabilizza a pagare un oneroso tributo al frustrante genio passato che vive nella segreta musica delle parole, antichi usi che cantano e continuano a cantare eternamente l’amore di Dante, la pazzia di Tasso, il senso di ricerca infinita di Ariosto e Galileo, il Dio di Manzoni, l’Umanità di Leopardi.

Presto
In questa direzione mi sento di esprimere un sincero apprezzamento verso la scelta da parte del nostro ministro Francesco Rutelli di nominare una commissione per riscrivere il linguaggio dei beni culturali. Meglio Libreria che Bookstore, meglio Caffè che Coffee-house, meglio Oggetti che Gadgets e soprattutto meglio Biglietti che Ticketeria ( termine incestuoso).
“Meglio evitare l’utilizzo di termini stranieri, in particolare di inutili anglicismi, qualora non si tratti di neologismi correnti privi di una corrispondente espressione in italiano.” Così recita la circolare, il cui testo ricorda inoltre che uno dei compiti del ministero è“ contribuire a formare e diffondere una cultura nazionale della quale la lingua italiana rappresenta un fondamento imprescindibile.” L’aspetto linguistico non è dunque secondario.
Come scrisse Terzani in Lettere dall’Himalaya, è bene “riprendere certe tradizioni di correttezza, rimpossessarsi della lingua, in cui la parola Dio è oggi diventata una sorta di oscenità e tornare a dire “fare l’amore” e non “fare sesso”. Alla lunga, anche questo fa una grossa differenza.

Cantabile
I più sono convinti che l’uso di parole straniere sia indispensabile per ovvie esigenze referenziali di sintesi. Altri sono convinti che certe parole straniere siano pressoché intraducibili. In parte è vero, perché ad usi sociali diversi corrispondono lingue diverse. È una tendenza, non una legge.
Pochi giorni fa, rileggendo Dante ho scoperto con sorpresa l’esistenza di un termine che l’Ortega linguista credeva esistesse soltanto nella lingua spagnola: l’ensimismamiento. Intraducibile ?
In realtà esiste un corrispondente lessicale italiano a questo splendido vocabolo dell’idioma spagnolo.
Già non attendere' io tua dimanda,
s'io m'intuassi, come tu t'inmii
” ( Par. IX, 80-81).

Inmiarsi è parlare con se stessi, in lingua italiana.

Nessun commento: