venerdì 28 dicembre 2007

Partito Democratico: una sfida necessaria

Articolo del numero 0 uscito nell'ottobre del 2006 sull'edizione cartacea

di Alessandro Maria Baroni

Un anno, o forse meno. Ecco quanto manca allo scatenamento di quello che potrebbe essere un vero e proprio terremoto politico. Il terremoto in questione è comunemente chiamato Partito democratico. Il condizionale è ancora d’obbligo. Forse più per scaramanzia. O forse perché bisogna ancora affrontare intricati quanto estenuanti passaggi congressuali in cui può accadere davvero di tutto – e solo chi li ha vissuti potrà concordare. Personalmente, aspetto con ansia il momento in cui potrò lasciarmi andare ad un perentorio quanto categorico indicativo: quel futuro semplice che indica una certezza assodata.
Fortunatamente di questi tempi si sta affermando sempre più il secondo dei due modi verbali. “Meglio tardi che mai!” dicono alcuni, “Dio ce ne scampi e liberi!”, serrano gli scudi altri. Ma sta di fatto che per la primavera del prossimo anno sono convocati i Congressi (probabilmente gli ultimi) dei due maggiori azionisti – Democratici di Sinistra e Margherita – e per la fine dell’anno, inizi del 2008 l’Assemblea Costituente del fantomatico Partito democratico.
Ma siamo scuri che sia questa la via migliore da intraprendere per il nostro centrosinistra? Io sono tra quelli che sono pronti a scommettere di sì. Le ragioni a favore potrebbero essere innumerevoli, ma mi limiterò a sviluppare le più significative.
Partiamo dall’attualità politica. Romano Prodi è il Presidente del Consiglio in carica ormai da cinque mesi. Si ripropone così, a dieci anni di distanza, una delle innumerevoli anomalie del nostro Bel Paese. Per cui non solo il premier non è il leader della prima formazione politica della maggioranza – i Ds, in questo caso -, ma addirittura non appartiene ufficialmente a nessuno dei partiti che compongono la coalizione. Nessun problema se avesse un ferreo rapporto con i partiti maggioritari dello schieramento, ma purtroppo l’asse Prodi-Ds-Dl pare non avere una grande continuità. Tutto questo rende senza dubbio Prodi maggiormente soggetto alle pressioni della sinistra radicale che, dopo il “blocco riformista”, è la seconda azionista di questa maggioranza. Il partito democratico risolverebbe di certo buona parte di questi problemi. Innanzitutto dando finalmente una “casa” al premier e facendo sì che abbia quel costante supporto politico quotidiano che ogni capo di un governo deve necessariamente avere. Per l’esecutivo avere una doppia guida riformista è quanto di più deleterio possa esservi. Tutto ciò non fa altro che dilatare nel tempo la soluzione delle inevitabili tensioni ed intoppi che attanagliano l’attività parlamentare. Con un forte e saldo timone riformista in grado di tracciare la rotta in modo netto, si consentirebbe al pettine di incappare in molti meno nodi.
Ma la prima vera ragione della nascita del Partito democratico è un’altra. È ormai sotto agli occhi di tutti che tutte le culture politiche, così come ci sono arrivate dal ‘900, non sono più assolutamente in grado di dare risposte adeguate alle esigenze della società. Le problematiche che una potenza industriale quale è l’Italia, Paese che all’occorrenza sa porsi come un attore protagonista della scena politica globale, deve affrontare sono tante e tali che nessuno può porsi come il grande salvatore. Se la destra ha trovato una via nell’approccio populista e demagogico, in cui il rapporto capo-popolo è l’elemento con cui si vuole trasmettere tranquillità e sicurezza, nella sinistra la situazione è più variegata. E in riferimento al nostro caso italiano appare particolarmente complessa poiché oltre alle due anime presenti pressoché ovunque nel centrosinistra europeo – quella socialdemocratica e quella della sinistra radicale - è presente una terza decisiva componente: quella cattolico-democratica d’ispirazione cristiano-sociale. Ma andiamo per ordine.
In Italia, volenti o nolenti, la sinistra radicale ha un peso notevole. Raccoglie circa il 10 per cento dei consensi e si inserisce in un disegno di contestazione del ordine economico globale facendosi portatrice di ideali pacifisti. Non raggiunge tuttavia posizioni così oltranziste, come avviene ad esempio in Francia o in Germania, tanto da poter prendere parte ad una coalizione di governo, ovviamente cortei incomprensibili quanto folcloristici permettendo.
Quanto alla socialdemocrazia, di certo non possiamo dire che goda di ottima salute. Nemmeno nella cara vecchia Svezia ciò che propone è preso come oro colato, tanto che è stata condannata all’opposizione dopo circa settant’anni di governo. E in Italia non è mai riuscita ad imporsi in modo netto. I Ds datano il loro massimo storico, tra l’altro quando erano ancora Pds, nel 1996 col 20,1 per cento per crollare al 16,6 nel 2001 e rimanere impalati al 17,5 nel 2006. Da notare che il minimo storico dei laburisti inglesi si aggira attorno al 27 per cento. Un dato che non può non far riflettere. Se a ciò si aggiunge che il più grande sostenitore della costruzione di una forza socialdemocratica in Italia, Massimo D’Alema, è oggi tra i primi a sostenere strenuamente la necessità di costruire un Partito democratico, è evidente che qualcosa non è andato proprio come previsto.
Veniamo ora alla tradizione cattolico democratica che ha rappresentato e rappresenta, in un certo senso, tutt’ora la forza maggiore nel nostro Paese. All’indomani di tangentopoli e del crollo del vecchio sistema dei partiti, con lo scioglimento della Democrazia cristiana si è avuta una vera e propria diaspora dei militanti democristiani in una miriade di partiti. E nel centrosinistra è approdata quel pezzo della sinistra Dc che più faceva suo l’intento del grande Alcide De Gasperi di un partito collocato al centro, ma stabilmente orientato verso sinistra. Quella componente maggiormente sensibile alle tematiche sociali che rifiuta nettamente l’involuzione neo conservatrice e la deriva verso destra della tradizione popolare. È un’area che ha un peso notevole nel centrosinistra, ma che non ha una forza tale da poter ottenere consensi tali da egemonizzare la coalizione.
Oggigiorno entrambi i partiti di riferimento di queste due aree – Ds e Margherita – sono percepiti dall’elettorato come degli “ex” o dei “post” di un qualcosa che è stato prima. Un qualcosa che ai più giovani può risultare addirittura sconosciuto. Si tratta di formazioni troppo sovrapponibili per le rispettive opinioni su molti temi e con un’identità per certi versi troppo appannata, o comunque percepita solo dai più ferventi militanti. Ma un partito che si rivolge solo ai militanti è un partito destinato a morire. Pertanto, grazie al crollo dell’equilibrio bipolare e con esso delle ideologie, sono caduti quegli steccati insormontabili ed è stato possibile intavolare una collaborazione politica che riunisse tutti i partiti con uno spiccato profilo di governo di chiaro stampo riformatore.
L’obiettivo del Partito democratico è l’unico che può ridare un ruolo alla sinistra nel XXI secolo. Un ruolo che non la veda arrancare dietro a continui richiami ad un’identità che non interessa minimamente a chi davvero occupa gli ultimi posti delle graduatorie sociali, ma che la veda in prima fila per pianificare una seria, equa e rigorosa governance della società, dando risposte concrete e pronte a tutti coloro che hanno bisogno di essere sostenuti e promovendo al massimo quello che sono le enormi capacità di tantissimi privati cittadini.
Solo col Partito democratico i cittadini ritroveranno fiducia nella politica. Ed è questa la terza fondamentale ragione del perché dovrebbe nascere. È davvero preoccupante come questo rapporto sia costantemente andato sfilacciandosi ed è impressionante come la politica non sia ancora stata in grado di mettere in atto le dovute contromisure. Il rischio di un così largo senso di sfiducia potrebbe avere conseguenze devastanti. Ma gli italiani, e soprattutto i giovani, hanno fatto capire a più riprese di non essere stanchi della democrazia. Lo dimostrano la larga partecipazione al referendum costituzionale con cui i cittadini si sono “riappropriati” della tanto bistrattata Costituzione e i livelli di partecipazione al voto che sono sempre tra i più alti d’Europa. Insomma, la domanda di partecipazione è presente e viva. È l’offerta che risulta essere di qualità infima. I cittadini chiedono partiti nuovi, non in aggiunta a questi, ma che sostituiscano un arco parlamentare ancora troppo legato logiche del passato. Chiedono soprattutto forme nuove di partecipazione. E l’impressionante partecipazione – 4,5 milioni di persone - alle primarie del centrosinistra dello scorso ne sono la più alta dimostrazione. Chiedono la stabilizzazione di un sistema politico che sia saldamente incardinato sul bipolarismo in cui chi perde, o ha governato male, viene mandato a casa rapidamente.
Su un progetto di questo tipo non vige, soprattutto all’interno dei partiti esistenti oggi, un consenso totale. Molte sono le critiche e guai se non vi fossero. Ma non penso sia molto onesto sollevare problemi in ottica meramente ostruzionistica e, soprattutto, senza proporre concretamente alcuna soluzione alternativa. O richiamarsi alla strenua difesa di identità che sono frutto più di retaggi del passato, invece di incentrarsi più a ciò che ci accomuna per il futuro. Il caso della futura collocazione europea del Pd è davvero eclatante. Questo è ad oggi uno dei punti di maggior frizione. Se infatti, da una parte la sinistra Ds non vede altra via se non quella di un Partito democratico che entri a far parte del socialismo europeo, dall’altra i democristiani di vecchia data – vedi Franco Marini e Rosy Bindi - ribattono dicendo di non voler morire socialisti. Un’affiliazione nuda e cruda al Pse non penso sia la strada da percorrere, ma è fuori da ogni dubbio che in ambito europeo il gruppo dei socialisti sono quello che rappresenta l’asse portante del centrosinistra. Sarà necessario che i socialisti a livello europeo avviino un dibattito al loro interno per vedere se, come molti auspicano, sia possibile poter allargare le maglie del partito ed includere tutti i riformisti e i progressisti che non provengono dalla storia socialista. È un dibattito che dovrà riguardare necessariamente anche l’Internazionale socialista. Bisogna decidere una volta per tutte se l’adesione ad un organismo come questo si basa sul profilo programmatico di un partito o se è sufficiente proclamarsi socialisti nel simbolo, anche se poi si appoggia un capo di governo come Yanukovic che tutto fa tranne che portare avanti politiche di stampo progressista, come nel caso del Partito socialista ucraino. Vista la portata del problema, in ultima istanza, si potrebbe anche ricorrere a consultare gli iscritti rinviandolo a quando questi potranno finalmente far sentire la loro voce.
D’altra parte non penso che sollevare i problemi etici come un altro ostacolo insormontabile alla nascita del Pd sia corretto. Innanzitutto perché penso che nessuno possa dire di avere la soluzione pronta ad ogni questione che si solleva in questo ambito, perché in un tema come questo le coscienza di ognuno è estremamente esposta e non necessariamente legate alle logiche del partito e infine perché se assunti come problemi da risolvere, e non come un pretesto per dividersi, una soluzione è sempre rintracciabile. Ne è una dimostrazione il voto unitario di tutto il centrosinistra a luglio in Senato su una mozione riguardante il tema della ricerca sulle cellule staminali. Continuare a dividersi tra laici e cattolici non ha senso. La vera contrapposizione, semmai, è tra laici – in cui vi è anche buona parte dei cattolici – e confessionali. Dove i primi sono coloro i quali che a prescindere dall’avere o meno una fede accettano le differenze nella società, ma soprattutto le rispettano e i secondi sono coloro che sono convinti di essere i detentori della verità assoluta e sono disposti a tutto pur di elevarla a legge universale.
La laicità di un futuro Partito democratico non sarà minimamente a rischio perché i confessionali presenti in questo schieramento sono fortunatamente un gruppo assai sparuto. E faremmo tutti bene se ci rinfrescassimo di tanto in tanto la memoria con quello che disse Don Luigi Sturzo sui cattolici impegnati in politica. "È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico. I due termini sono antitetici; il cattolicismo è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, ed abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione”.
Per tutti questi motivi penso sia indispensabile la nascita di Partito democratico. Una formazione che sappia raccogliere la sfida della sinistra del 2000: fare suoi ed unire ai più alti livelli libertà ed equità. Sarà proprio la pluralità di fondo e l’incontro delle culture socialdemocratica, cattolico democratica e laico repubblicana a permettere a quello che oggi si prospetta quasi come un sogno di divenire una splendida realtà. Palmiro Togliatti, per quanto possa essere una figura su certi aspetti discutibile, diceva: “I partiti sono la democrazia che si organizza, i grandi partiti sono la democrazia che si afferma.” Speriamo che l’Italia possa colmare questo vuoto.

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