venerdì 28 dicembre 2007

Iran e Israele: "La tempesta e l'albero"

Articolo del numero 0 uscito nell'ottobre del 2006 sull'edizione cartacea

di Antonio Bruno

È sottilissimo il filo che lega in una spaventosa spirale di guerra e morte i Paesi del Medio Oriente; un filo non solo di natura politica, economica e militare, bensì, soprattutto, di natura religiosa, spirituale, ideologica.
La seconda guerra del Libano (12 luglio-14 agosto 2006) ha rappresentato un capitolo fondamentale dell’ormai intricato conflitto arabo-israeliano, cominciato più di quaranta anni orsono. Ma non solo. Essa è stata, principalmente, uno dei campi di battaglia e di scontro della grande guerra fra la civiltà islamica e quella occidentale, fra l’“Hizb-Allah”(Partito di Dio) e l’“Hizb-Shaytan”(Partito di Satana).
L’aspetto fondante della religione islamica, in particolare a partire dalla rivoluzione in Iran di Khomeini (1978-79), è l’odio maturato negli anni nei confronti dei non musulmani e, soprattutto, nei confronti degli ebrei.
I tradizionali concetti anti-ebraici, sempre presenti nella storia e nella civiltà islamica, sono riaffiorati con veemenza con il rafforzarsi del movimento islamico e dei vari movimenti di liberazione (organizzazioni terroristiche). Il sionismo viene visto come l’apice “di un attacco politico e culturale” del Grande Satana (l’Occidente) al mondo islamico.
Alla base di ciò è l’interpretazione della “nascita dello Stato ebraico al centro del mondo islamico come il più recente di una lunga serie di complotti ebraici contro i musulmani”: gli USA si sono adoperati, con l’ausilio delle Nazioni Unite successivamente al secondo conflitto mondiale, affinché gli ebrei, vittime di un efferato antisemitismo, avessero finalmente una loro patria, un loro territorio, ponendo fine alla secolare diaspora.
E’ appunto questa politica intrapresa dai Paesi occidentali ad essere avvertita come un modo per delegittimare la sacra (ed immutabile) tradizione religiosa islamica; come la radice della crisi morale, spirituale, nonché politica di cui soffrono i musulmani. Una crisi scaturita dalla consapevolezza che il mondo è divenuto “l’inferno dei credenti e il paradiso degli infedeli”.
Tuttavia le reiterate sconfitte degli eserciti arabi nelle guerre contro Israele e l’effettivo successo delle organizzazioni terroristiche quali Olp, Hamas, Jihad islamica e Hizbullah del Libano, hanno sancito che la guerriglia è l’arma migliore per strappare territori ad Israele e per combattere gli ebrei. Costoro, dai musulmani, non sono visti come un popolo ma come un collage di comunità religiose disseminate fra i popoli, che Allah ha condannato alla sottomissione, in quanto hanno rifiutato il messaggio profetico di Maometto.
Queste sono, in nuce, le convinzioni che stanno alla base della politica antisionista adottata, oggi come in passato, dai leader iraniani e dalle organizzazioni terroristiche come Hizbullah e Hamas.
Il conflitto attuale fra Iran e Israele è palesemente di natura ideologica e non territoriale.
L’Iran, pertanto, forte baluardo islamico, è come se si sentisse investito di una profonda missione religiosa e politica, che viene avvertita come un forte imperativo, come l’obbligo di far trionfare ovunque il Partito di Dio, annientando e distruggendo Israele (potremmo dire citando e parafrasando Catone “Israel delendus est”). Un “grande premio” questo, da ottenere attraverso l’azione di Hizbullah, movimento satellite dell’Iran in terra libanese, già supportato da Teheran e dai guardiani della rivoluzione (i pasdaran), durante la prima guerra del Libano (1982); attraverso il rafforzamento della propria posizione nelle regioni con un’ampia popolazione sciita, come Iraq e Libano, e il supporto dei vari movimenti, con lo scopo di favorire e consolidare la base politica e quindi una maggiore e capillare diffusione dell’ideologia rivoluzionaria iraniana; e magari anche attraverso il ricorso alla tecnologia nucleare. L’Iran possiede già una tecnologia missilistica a lunga gittata. Gli servono solo le testate. Ma a quale scopo?
Probabilmente per realizzare l’obiettivo geopolitico di affermarsi come potenza massima in Medio Oriente, dotata del nucleare e di straordinarie risorse energetiche, e finalmente in grado di combattere e vincere la decisiva battaglia contro il Grande Satana, sotto molti fronti.
Tuttavia non si possono non prendere in considerazione le numerose dichiarazioni antisioniste e antisemite del presidente iraniano Mahmud Ahmadi-Nejad secondo cui Israele è un "albero marcio e morente" che sarà distrutto da una "tempesta".
Parole durissime, che diventano ogni giorno benzina con cui ogni manifestante pacifista europeo si considera legittimato a bruciare in piazza la bandiera d’Israele insieme a quella degli Stati Uniti.
Non solo, ma a 60 anni dalla liberazione di Auschwitz, in tanti ragazzi italiani ed europei, c’è voglia di non credere più “alla leggenda” dei sei milioni di morti nelle camere a gas e nelle deportazioni.
D’altronde, come scrive il Jerusalem Post, “é sbagliato pensare che in Medio Oriente possa stabilirsi un equilibrio della deterrenza paragonabile a quello della guerra fredda fra USA e URSS. Qui la situazione è molto diversa. Un ordigno nucleare nelle mani di fanatici islamici, convinti che l'esistenza dello stato ebraico sia una vera e propria bestemmia contro la loro religione, pone una seria minaccia esistenziale per Israele".
Se lo scontro frontale resta per ora fortunatamente confinato nell'ambito delle minacce verbali, sul terreno del terrorismo l'Iran non sta con le mani in mano. Chi pensava che, dopo l'11 settembre, anche Teheran avrebbe dovuto abbandonare o perlomeno ridimensionare la sua dimostrata contiguità con le reti del terrorismo mediorientale, ha dovuto ricredersi. La repubblica degli ayatollah ha anzi aumentato appoggi e aiuti verso tutti i principali gruppi fondamentalisti, gli stessi talebani e i membri di al-Qaida, in fuga dalla disfatta afghana. "Sono minacce estremamente serie – come ha scritto Gerald Steinberg (Jerusalem Post) - e tutti i segnali indicano che ora come ora ci troviamo di fronte a uno sforzo in prima persona dell'Iran volto a provocare una vera e propria conflagrazione regionale".

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